LA REPUBBLICA del 29 agosto 2012
L’idea di un’umanità solo vegetariana (vedi le “proiezioni” riportate ieri da Enrico Franceschini su questo giornale) ha qualcosa di integralista, e tra l’altro riconduce ai nefasti tabù alimentari che quasi ogni religione adotta. E tuttavia non c’è persona sensibile e informata che non si renda conto del rovinoso dominio che l’Impero della Carne esercita sul pianeta. Quel vero e proprio ossimoro che è l’agroindustria (tabula rasa del mondo vegetale per trasformare i campi in mangimifici per gli allevamenti intensivi) sarebbe costretta ad arretrare di qualche milione di ettari se il consumo di carne si riducesse. Mangiare meno carne ridarebbe fiato alle biodiversità, ostacolerebbe la diffusione degli Ogm (che per l’agroindustria sono nati, e fuori dall’agroindustria quasi non hanno mercato), aiuterebbe l’agricoltura e i contadini a riacquistare centralità, autodeterminazione, peso economico e politico. La selvaggina (non si adombrino gli anti-caccia) è infinitamente più salubre e più “etica” della carne da allevamento intensivo. Piccola bibliografia: “Il dilemma dell’onnivoro” di Michael Pollan e “Se niente importa” di J. S. Foer.
LA REPUBBLICA del 14 settembre 2012
Breve sunto dei pensieri e dei dubbi di un probabile elettore alle probabili primarie del centrosinistra. Bersani è una persona seria, competente e anche simpatica, ma è troppo legato alla cultura produttivista del Novecento e all’ossessione della crescita. Renzi è tosto e ha ragione da vendere quando accusa il paese (e il Pd) di essere castali e gerontocratici, ma ancora non ho capito che idea di società ha in testa, ammesso ne abbia una. Vendola ogni volta che parla mi fa capire che senso ha essere di sinistra, ma vederlo in fotografia con Diliberto e Ferrero mi fa dubitare delle sue capacità di stare in un governo senza sfasciarlo. Tabacci è bravo e intelligente, quando lo vedo da Gad Lerner sono tanto contento, ma con il centrosinistra che accidenti c’entra? Laura Puppato (vedi intervista a Concita De Gregorio, Repubblica di ieri) è l’unica donna e il suo programma è di gran lunga la cosa più intelligente, bella e consolante fin qui udita, ma fino a ieri l’altro non sapevo chi fosse e un dalemiano chiederebbe: quante divisioni ha Laura Puppato? Classifica (del tutto personale, nonché aggiornabile): prima Puppato, secondi ex aequo Bersani e Vendola, quarto Renzi, fuori concorso Tabacci.
LA REPUBBLICA del 30 agosto 2012
Per i minatori del Sulcis è un (meritato) trionfo mediatico, anche a prescindere dal piccolo dramma in diretta, la lama sul polso, le urla, il trambusto. Quasi impossibile trovare un giornale che non ne parli bene, compresi quelli di destra. Noi commentatori, sapete, riconosciamo al volo il fascino “letterario” della miniera; così come ci piacque raccontare delle proteste d’alta quota, su gru e torri, lavoratori autosospesi tra terra e cielo; e di quegli altri sardi al confino all’Asinara, così tenaci e così spiritosi da fare la parodia dei talkshow, e definirsi “l’Isola dei cassintegrati”. Poi però, se proviamo a fare un bilancio non mediatico ma sindacale, non virtuale ma sociale, il discorso cambia. E cambia parecchio. Chi prende le decisioni – quelli che una volta si chiamavano i padroni – bada ben poco all’opinione dei giornali. Grandi popolarità mediatiche (pensate alla lotta dei minatori inglesi, che divenne anche epopea cinematografica) si sono poi tradotte in pesanti sconfitte sul campo del lavoro. Spiegava Marx la differenza tra la struttura (i rapporti di produzione, l’ossatura della società) e la sovrastruttura. Noi dei media siamo la sovrastruttura.
LA REPUBBLICA del 19 settembre 2012
I salafiti non lo sanno, e probabilmente non se ne accorgeranno nemmeno a cose avvenute: ma il vero “attacco all’Islam”, da parte dell’Occidente impuro e corrotto, non verrà da altri filmetti blasfemi o nuove vignette irriverenti. Verrà da un kolossal coprodotto dal Qatar e da un potente produttore americano (lo stesso di “Matrix” e “Il signore degli anelli”), una trilogia da quattrocento milioni di dollari con la benedizione di autorevoli studiosi islamisti, congegnata nel rigoroso rispetto della legge coranica e con lo scopo, virtuosissimo, di ristabilire la verità su Maometto, la sua biografia autentica, il suo ruolo (certificato nei titoli di coda) di portatore della Verità. La macchina mitologica americana è implacabile: ne sortirà – si accettano scommesse – un Profeta supereroe, qualcosa tra Batman e Lawrence d’Arabia, e infine la globalizzazione sarà riuscita a neutralizzare anche Maometto, dopo il povero Cristo trasformato da Mel Gibson in una star del genere horror. Nessuno come l’uomo contemporaneo (non importa se un salafita del Cairo o un ateo di Manhattan) è in grado di capire le ragioni profonde dell’iconoclastia.
LA REPUBBLICA del 31 agosto 2012
Se anche un cattolico più vicino alla società che al dogma (mi riferisco al vicesindaco di Milano, Maria Grazia Guida) si mette di traverso contro il testamento biologico, vuol dire che non c’è più speranza. Non c’è più speranza di far capire al mondo cattolico, nella sua quasi interezza, che non può costringere il resto del mondo a vivere e a morire secondo precetti che non gli appartengono. E che la confusione tra leggi dello Stato e volontà della Chiesa è un vero e proprio oltraggio inferto ai molti milioni di italiani non cattolici. A rendere ancora più triste la sortita del vicesindaco, e della cosiddetta componente cattolica del Pd, la notizia che il pastore valdese di Milano, Giuseppe Platone, si rallegra della volontà della giunta Pisapia di introdurre il testamento biologico per i cittadini milanesi, e ricorda che i valdesi già sono depositari di 800 testamenti perché «credono nell’autodeterminazione della persona». Mi dispiace doverlo dire con inevitabile brutalità: ma chi è contro il testamento biologico è contro l’autodeterminazione degli esseri umani. Il vicesindaco di Milano, purtroppo, non fa eccezione.
LA REPUBBLICA del 25 settembre 2012
Per spiegare lo sbalorditivo comportamento del presidente del Cagliari, signor Cellino, che ha invitato il pubblico ad andare ugualmente allo stadio nonostante manchi l’agibilità, non basta rifarsi all’antica tradizione di goffaggine dei ricchi padroncini del calcio italiano. C’è qualcosa di nuovo e, direi, di moderno: c’è quella sorda ostilità alle regole (quelle dello Stato e quelle del buon senso, non sempre coincidenti ma spesso sì) che ha trovato, negli ultimi anni, non solo una legittimazione ideologica, ma una sua prassi “alta” e “bassa”, quanto basta per far considerare normale, e magari sagace, mettere tra parentesi la legge. Ovviamente non tutte le leggi sono giuste, e per saperlo non è necessario scomodare Antigone (la poveretta è diventata l’alibi culturale per giustificare i porci comodi di chiunque). Ma per ribaltarle del tutto o in parte, le leggi, in genere è necessaria una rivoluzione, oppure lunghi e faticosi processi politici collettivi. Qui uno si alza al mattino e, dopo il cappuccino, decide che si va tutti insieme allo stadio, e chi se ne frega delle autorità di pubblica sicurezza. La disobbedienza, nei secoli, ha sempre avuto un prezzo. Oggi siamo ai saldi: basta uno 0-3 a tavolino.
LA REPUBBLICA del 19 luglio 2012
Non invidio i giudici che devono indagare per “estorsione” Marcello Dell’Utri. Si tratta di fare chiarezza sulla caterva di milioni che il senatore (!!) ha ricevuto da Berlusconi. È come setacciare il Mississippi. Tra amiconi, fornitori, ragazzuole, informatori, praticoni, bisognosi e bisognose a vario titolo, i beneficiati di Berlusconi si contano a decine, e lo sfarfallio di banconote, da quelle parti, è grandioso e incessante. Lui ama vantarsene, e considera la voracità della sua corte la migliore testimonianza della sua munificenza. Perfino i suoi elettori indigenti (a conferma del fatto che la passione politica brucia il cervello) sono entusiasti di quello scialo, anche se non guadagnano in una vita (lavorando) quello che un Lavitola ha ricevuto come mancia. Tornando ai giudici, cercare di cogliere ragioni e scopi di quel pazzesco andirivieni di quattrini è praticamente impossibile. Noi cittadini ci si accontenterebbe di sapere se almeno qualcuno dei miracolati ha emesso fattura o ricevuta, tanto per dare una parvenza di liceità alla prospera industria dello scrocco fiorita attorno alle mura di Arcore. Legalizzare la prostituzione ormai è una battaglia bipartisan.
LA REPUBBLICA del 1 settembre 2012
In tempi di totale confusione ideologica, si deve a Mitt Romney una definizione rozza ma piuttosto efficace di destra e sinistra: "Mentre Obama pensa al pianeta, io penso alle famiglie americane". Ne esce l´idea di una sinistra parolaia e di una destra gretta: più o meno ciò che sono. "Obama pensa al pianeta" è una perfidia ben concepita. Per l´elettorato di Romney il pianeta è solo una remota seccatura, con tutti quei Paesi dai nomi strani che ogni tanto tocca bombardare. Ma anche l´opinione pubblica liberal e di sinistra (di tutto il pianeta) vorrebbe tanto che i suoi leader fossero un poco più concreti, anche a costo di essere meno nobilmente ispirati nei loro discorsi. Quanto alla destra, cioè alle "famiglie americane" ansiose di liberarsi dall´impiccio costituito dall´esistenza, oltre la staccionata di casa, addirittura di un pianeta, hanno sicuramente trovato in Romney un rassicurante difensore. Il loro problema è che la cognizione piuttosto vaga del resto dell´umanità fa di loro, nonostante siano i cittadini della prima potenza economica, militare, politica e mediatica del mondo, dei patetici provinciali. Spesso, per giunta, con un doloroso complesso di inferiorità nei confronti di chi si permette il lusso di "pensare al pianeta".
LA REPUBBLICA del 13 settembre 2012
Nel pittoresco caos sollevato dall´intervista rubata al grillino Favia, è passato in sottordine il metodo, e questo non vale. Non vale perché il metodo (un fuorionda mandato in onda) fa parte, eccome, del dibattito. Il dibattito è sulla crisi etica e funzionale della politica, a partire dalle sue forme di rappresentanza, non certo escluse le forme mediatiche. A me (l´ho scritto milioni di volte) il mito della democrazia diretta via web pare ingenuo, ridicolo e anche pericoloso, ma non è che un sistema mediatico (e un dibattito politico) fondato sui fuorionda mi appaia in alcun modo rassicurante o anche soltanto decente. In questo senso, come dare torto alla grillina Federica Salsa che, raggiunta al telefono da una giornalista di "Piazza Pulita", non credendo alle sue orecchie, le ha detto: «Ma come, mi chiedi una chiacchierata informale dopo che il tuo programma ha mandato in onda un fuorionda registrato di nascosto? ». Cerco di evitare accuratamente i talk-show perché ho paura (fisica) di imbattermi in Sallusti. Di qui in poi, cercherò di evitarli anche per la paura di dover commentare un fuorionda.
LA REPUBBLICA del 24 luglio 2012
Barak Obama – che un nome se lo è conquistato, eccome – non ha voluto pronunciare il nome del miserabile assassino di Denver. La condanna all’anonimato come punizione massima per chi è disposto a qualunque nefandezza pur di uscirne. Giusto. Così giusto che fa riflettere, per esteso, sull’equivoco esiziale che guasta i sogni della società massificata: la totale confusione tra fama e valore. Si ritiene che se non si è famosi non si esiste, non si vale, ma è un falso spaventoso, è il padre di tutti i falsi. Ci sono evidenti casi di famosi farabutti e di famosi imbecilli; e di persone il cui valore, anche grande, è conosciuto da pochi, e tra quei pochi loro stessi. Ho sentito Benigni, in Santa Croce a Firenze, a commento del canto Undicesimo, dire che il lavoro umano prosegue il lavoro di Dio. Ho pensato al “lavoro ben fatto” di Primo Levi, ai tanti (e sempre più rari) esempi di persone felici del loro fabbricare, creare, mettere ordine, disporre in giustezza le cose. Il loro valore è inestimabile, e non importa quanti lo sanno (lo sa Dio, direbbe il poeta). Se si riuscisse a fare capire questo – che il valore è più della fama – ai miliardi di anonimi e ai milioni di frustrati, ci sarebbe qualche pazzo infelice di meno, e qualche traccia in più della potenza umana.