“Ti Racconto Una Canzone” Speciale Su Francesco Guccini.
Uno speciale dedicato alla musica e alla vita di Francesco Guccini, intervistato da Federico Taddia nella casa toscana del cantautore, a Pavana.
Dal nuovo libro “Culodritto e altre canzoni” all’importanza della memoria per poter scrivere e riportare in musica le proprie storie: Guccini si racconta con ironia, guardandosi indietro, dall’infanzia – “sono nato in un periodo particolare, quattro giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia” dice il cantautore a Nautilus – agli anni trascorsi nella “piccola città” di Modena di cui conserva un ricordo particolare. E a proposito di storie e biografie, Guccini cita Jorge Luis Borges “uno scrittore parte sempre da se stesso – dice Borges- e io credo che si parta sempre da fatti accaduti, da personaggi conosciuti o meno, si parte sempre dalla propria esperienza personale”. E a questo proposito il cantautore parla del suo rapporto con la memoria. “Gli amici dicono che ho una grande memoria, il che non è vero. Però mi piace ricordare, andare nel passato; anche perché il futuro è inconoscibile, il presente è labile, fugace, dura un momento. Noi viviamo soprattutto nel passato e io l’ho scavato. I miei primi tre romanzi – continua - sono falsamente autobiografici, però ho usato tanti ricordi di quel periodo e di quegli anni, c’è la parte pavanese, la parte modenese e l’ultima parte, la parte bolognese. Ho frugato nella memoria”.
Infine, raccontando del suo ultimo libro Guccini spiega: “Culodritto è un espressione modenese esattamente è “ander via col cul dritt” e si riferisce di solito ai bambini piccoli che rimproverati vanno via impettiti. La versione dialettale però è più pittorica ed efficace e diventa “culodritt”. La canzone nella fattispecie era dedicata a mia figlia Teresa”.
Rai Educational diretta da Silvia Calandrelli presenta Nautilus Connessioni. Visioni. Condivisioni., di Federico Taddia, regia di Piccio Raffanini.
In onda lunedì 6 gennaio alle 19.30, e in replica ogni 4 ore, su Rai Scuola ch. 146 del Digitale terrestre e ch.33 TivùSat.
Eco E Calvino, Destini Incrociati
di PAOLO MAURI
Come in un “castello dei destini incrociati” l’Università di Toronto ha organizzato l’anno scorso un convegno intitolato «Tra Eco e Calvino» di cui ora escono gli atti con l’insegna “Relazioni rizomatiche”: insomma un’esplorazione delle radici evidenti e nascoste comuni ai due scrittori. Ne nasce un percorso articolato che Eco apre rivelando la sua predilezione antica per Il barone rampante letto nel 1957, quando aveva venticinque anni. Calvino aveva preso spunto da una storia raccontata dallo scultore Salvatore Scarpitta, che un bel giorno era salito su un albero e aveva deciso di rimanerci il più a lungo possibile. Se la storia di Scarpitta l’avesse presa in carico uno scrittore alla Mark Twain sarebbe rimasta fortemente americana, in sostanza la bravata di un ragazzo che stabilisce i suoi primati nel giardino di casa, invece Calvino l’aveva retrodatata al Settecento e legata all’Illuminismo, facendo di Cosimo un filosofo che cambia la prospettiva da cui guar- dare il mondo. È proprio quest’aspetto, insieme alla lingua cristallina di Calvino, ad affascinare il giovane Eco, che presto Calvino avrebbe incoraggiato a scrivere Opera aperta. Lo scopo del convegno, avverte il coordinatore Rocco Capozzi nella sua introduzione, «non è mai stato quello di voler dimostrare un Eco lettore di Calvino o viceversa… io partivo dall’idea di mettere a confronto l’intelligenza creativa che si manifesta nelle loro pratiche di lettura e scrittura». E, possiamo aggiungere, anche di traduzione. Renato Giovannoli documenta la precoce penetrazione di Borges nei dintorni del 1960 presso Sciascia, Eco e Calvino con la probabile aggiunta di Buzzati. Il punto di partenza è la traduzione di Ficcionescon il titolo La biblioteca di Babele nel numero 43 dei Gettoni di Vittorini. Siamo nel 1955. È probabile che Sergio Solmi avesse letto il libro in francese (era uscito da Gallimard nel ’51) e lo avesse consigliato a Einaudi per la traduzione italiana affidata a Franco Lucentini. Eco stesso ha ricordato di aver avuto da Solmi il consiglio di leggere quel libro una sera in piazza Duomo a Milano nel ’56 o ’57. Einaudi, aveva aggiunto Solmi, ne ha venduto meno di cinquecento copie. Sono gli anni in cui matura il Diario minimo dove Eco sviluppa il gusto per la parodia e l’invenzione bibliografica, giocando con strumenti critici molto raffinati per commentare magari i versi delle canzonette. Gli fa da guida ideale il Pierre Menard di Borges che riscrive alcune parti del Don Chisciotte esattamente come le ha scritte Cervantes. Quanto a Calvino, Giovannoli propone come primo riferimento borgesiano il saggio La sfida al labirinto che è del 1962, ma come potrà vedere chi leggerà l’intero e godibilissimo saggio, sia per Eco che per Calvino il rapporto con Borges e le sue biblioteche infinite e la sua predilezione per il fantastico e il combinatorio è piuttosto fitto e disteso negli anni. Ed è curioso che sia uno scrittore spesso definito reazionario a servire da guida in anni fortemente segnati dall’impegno politico e dai sensi di colpa. Eco e Calvino si incontrano ancora in uno snodo cruciale: la traduzione di Queneau. Se ne occupa Stefano Bartezzaghi in una relazione intitolata «Esercizi blu e Fiori di stile» che incrocia due celebri titoli di Queneau. Il tema di fondo è la traduzione del calembour, un gioco di parole di fronte al quale spesso chi traduce si arrende ricorrendo alla formula “gioco di parole intraducibile”. Calvino, lo confida a Franco Quadri in una lettera del 1965, avrebbe voluto leggere il testo con accanto una persona francese, magari lo stesso signor Queneau… Tradurre Queneau è un gioco di alto livello e una sfida: non sempre è possibile arrivare a una soluzione perfetta. Eco, che traduce gli Esercizi di stile, si pone il problema di essere fedele al testo che non vuol dire essere letterali: «Fedeltà significava capire le regole del gioco, rispettarle, e poi giocare una nuova partita con lo stesso numero di mosse». Così come aveva aperto il convegno (ricco di interventi che qui non posso nemmeno citare) Eco chiude con una serie di osservazioni e con una confessione. «A me non interessa nulla di me stesso. Per questo sono sempre restato estraneo alla psicoanalisi. Invece di spendere soldi dallo psicanalista per capire chi sono ne guadagno scrivendo romanzi in cui racconto chi sono gli altri». Un bel labirinto, direbbe Borges.